Emblema per eccellenza della storia dell’architettura in Sicilia, che dal tardo-Gotico attraversa il Manierismo per poi giungere fino al Barocco, la chiesa di San Domenico fu eretta nel 1470, per volontà dei Tagliavia, signori di Castelvetrano.
Sul finire del XV secolo, in uno dei momenti economicamente e culturalmente più felici della storia della città, i baroni Tagliavia danno il via alla costruzione della chiesa di San Domenico.
Erano quelli gli anni in cui, nell’era della fioritura dell’umanesimo e della cultura classica, l’ordine dei domenicani si faceva avanti e lottava contro tutte le forme di depravazione dei costumi.
Per la purezza della vita, per la pratica della fede e della giustizia, i domenicani erano fautori di una spiritualità che coniugava alla preghiera anche la ricerca e lo studio.
Tra il XV e il XVII secolo, l’ordine conobbe in Sicilia un particolare incremento, tale da contare, alla fine del Cinquecento, 70 conventi e circa 800 frati, molti dei quali si distinsero per lo spiccato ingegno e per aver occupato ruoli di grande importanza al fianco di principi e prelati.
Tra questi conventi spicca anche quello di Castelvetrano, sorto accanto alla chiesa di Santa Maria di Gesù, che muterà il suo originario titolo in quello del santo fondatore dell’ordine.
In un clima che vede da una parte la famiglia baronale, con sede a Castelvetrano, che tendeva a legittimare il proprio ruolo erigendosi a protettrice di un ordine così illustre e potente; dall’altra i domenicani che cercavano di esercitare il ruolo di guide spirituali al servizio degli aristocratici e baroni, la città si arricchì di tale capolavoro dell’arte.
Per la sua bellezza e per la commistione di opere d’arte, frutto delle maestranze presenti in sito, è stata recentemente definita come la Sistina Siciliana.
Le prime testimonianze sulla chiesa di San Domenico e sulla sua fondazione risalgono per mano degli storiografi siciliani al XVII secolo.
Rocco Pirri, parlando della presenza di conventi nella città di Castelvetrano, accenna brevemente alla nascita nel 1470, ad opera del barone Antonio Tagliavia, del convento dei Domenicani avente sede presso la chiesa di Santa Maria di Gesù, vecchio nome della chiesa.
Dopo meno di un secolo, nel 1732, il canonico Giovan Battista Noto ci fornisce una dettagliata descrizione della città di Castelvetrano e dei suoi tesori.
L’autore rimanda alla Istoria di Fra Giovanni Lopez dove per la prima volta si fa riferimento alle preziose decorazioni, volute negli anni settanta dal primo principe di Castelvetrano Carlo I, per la cappella innalzata dallo zio Francesco Aragona Tagliavia.
Il canonico ci offre una descrizione dettagliata della decorazione e della composizione dell’Albero di Jesse, del sepolcro marmoreo di Ferdinando d’Aragona ed altre opere mobili.
Qualche anno più tardi, nel 1757, lo storico Vito Amico pubblica il suo Lexicon topographicum Siculum, con traduzione di Gioacchino di Marzo del 1855 dove, in accordo con il Pirri, riporta il nome di Antonio Tagliavia come promotore dell’insediamento dei frati predicatori Domenicani presso la chiesa.
L’autore, inoltre, esalta la figura di Antonino Ferrario, come il principale artefice delle opere presenti nel cappellone maggiore e nella cappella del coro.
Lo stesso Gioacchino di Marzo qualifica Antonino Ferraro da Giuliana, detto inbarracuchina, come plasticatore, scultore e pittore di molte opere presenti in Sicilia.
Il Ferraro, secondo Gioacchino, fu autore del secondo fonte in marmo per l’acqua santa del duomo a Palermo insieme a Giuseppe Spadafora, e che abbia appreso la conoscenza della plastica e della pittura dal perugino Orazio Alfani, suo maestro, conosciuto proprio al cantiere della cattedrale di Palermo.
Nella distribuzione delle volte e negli affreschi di San Domenico, inoltre, il Di Marzo riconosce quel gusto veneto che senza dubbio Antonino Ferraro non avrebbe potuto apprendere soltanto in Sicilia.
Gli esiti delle minuziose ricerche di Antonino Giuseppe Marchese sulla famiglia Ferraro, invece, ci restituiscono una serie di documenti inediti molto importanti per comprendere quale fosse la consistenza di questa famiglia di artisti e per collocare cronologicamente il loro spostamento a Castelvetrano, dove continueranno ad esercitare ancora gli eredi di Antonino.
Marchese ci restituisce una serie di documenti inediti che rivelano l’intensa attività di Antonino nella regione corleonese, sottolineando come nei documenti Antonino Ferraro venga sempre indicato da titoli reverenziali come magnificus, honorabilis, nobilis, spesso anche come pictor o magister pictor.
Va ricordato il mirabile lavoro di Aurelio Giardina, Francesco Saverio Calcara e Vincenzo Napoli, La Chiesa e il Convento di San Domenico in Castelvetrano.
Una pubblicazione del 2014 che ci offre, con dovizia di particolari, un’accurata analisi storiografica e iconografica della famiglia Aragona-Tagliavia e del loro mausoleo.
Un testo esaustivo con dettagliate e aggiornate fonti bibliografiche, inclusi centinaia di manoscritti e contenente un ricco corredo fotografico a colori e in bianco e nero.